Nel disturbo ossessivo-compulsivo trovato un difetto che spiega un sintomo

 

 

GIOVANNA REZZONI & GIOVANNI ROSSI

 

 

NOTE E NOTIZIE - Anno XVIII – 23 gennaio 2021.

Testi pubblicati sul sito www.brainmindlife.org della Società Nazionale di Neuroscienze “Brain, Mind & Life - Italia” (BM&L-Italia). Oltre a notizie o commenti relativi a fatti ed eventi rilevanti per la Società, la sezione “note e notizie” presenta settimanalmente lavori neuroscientifici selezionati fra quelli pubblicati o in corso di pubblicazione sulle maggiori riviste e il cui argomento è oggetto di studio dei soci componenti lo staff dei recensori della Commissione Scientifica della Società.

 

 

[Tipologia del testo: RECENSIONE E AGGIORNAMENTO]

 

Il disturbo ossessivo-compulsivo, registrato in nosografia psichiatrica come Zwangsneurose per la prima volta da Kraepelin nel 1860[1] e descritto come stile mentale e ideativo anancastico da Pierre Janet[2] – che parlava di oscillazioni intellettuali, tendenze alla verifica ripetuta, a cogliere il presagio, a cercare la simmetria o la perfezione e alla reiterazione di interrogativi talora estenuante – fu definito quale entità clinica a sé stante da Sigmund Freud, principalmente basandosi sull’analisi psicologica di due suoi pazienti e su numerosi resoconti clinici ottenuti da altri medici psichiatri. Fino a tempi recenti, quando sono state evidenziate alcune basi neurobiologiche del disturbo, l’ingegnosa e coerente costruzione sviluppata da Freud per giustificare nell’ottica di un’eziologia psicologica i sintomi e lo stile mentale dell’ossessivo, ha profondamente influenzato la concezione e la psicoterapia del disturbo.

Oggi, accantonata la teoria freudiana dello sviluppo libidico che voleva l’ossessivo fissato allo stadio anale (o “sadico-anale” dei kleiniani) e abbandonata l’idea di una causa psicologica dei sintomi per effetto di meccanismi inconsci generati da particolari esperienze nelle relazioni affettive primarie, si impiegano i resoconti clinici per comprendere la psicologia del paziente. Perché, anche se si sono compiuti notevoli progressi nella conoscenza delle basi neuropatologiche, a partire da quando si è accertata un’iperfunzione del circuito di segnalazione dell’errore che sembra non rispondere al feedback che normalmente lo spegne, ancora molto c’è da conoscere e definire in termini patogenetici e fisiopatologici.

È oggetto di intensi studi la tendenza nel disturbo ossessivo-compulsivo a ripetere degli atti intenzionali, come nel caso delle verifiche ripetute che appaiono superflue o nell’apparente ritornare numerose volte su scelte già operate, con un atteggiamento di oscillazione esecutiva fra decisioni, caratteristico e diverso dal normale dubbio che comporta in genere una stasi riflessiva che rinvia l’esecutività. Alec Solway, Zhen Lin e Ekansh Vinaik hanno studiato il trasferimento di informazioni durante le decisioni ripetute, sia in condizioni ordinarie sia nel disturbo ossessivo-compulsivo, ottenendo interessanti risultati.

(Alec Solway, Zhen Lin & Ekansh Vinaik, Transfer of information across repeated decisions in general and in obsessive-compulsive disorder. Proceedings of the National Academy of Sciences USA – 118 (1): e2014271118, 2021).

La provenienza degli autori è la seguente: Program in Neuroscience and Cognitive Science, Department of Psychology, Department of Computer Science, University of Maryland, College Park, MD (USA).

È importante l’ascolto del paziente, non solo perché le differenze individuali sono significative e appaiono sempre più rilevanti quanto più si conosce la persona, ma soprattutto perché, al fine di suggerire modi, metodi ed esercizi per fare fronte alle difficoltà, è necessario conoscere l’ideazione, che in parte è direttamente indotta dalle alterazioni della fisiologia dei sistemi neuronici e in parte è reattiva, ma generalmente include già strategie personali di gestione dei sintomi che, se assecondati passivamente nelle loro irrazionali e diseconomiche priorità, possono compromettere non solo la vita di relazione ma anche l’espletamento di compiti necessari a soddisfare le esigenze più elementari. Pertanto, tutti coloro che convivono con questo disturbo conservando uno stile di vita normale e un equilibrio psicoadattativo accettabile, adottano strategie personali di gestione dei sintomi.

Nella psichiatria classica, prima che si affermasse in psicopatologica il paradigma psicodinamico, basato sull’identificazione dei meccanismi di difesa inconsci, e dunque per definizione automatici e involontari, nella clinica della “nevrosi ossessiva” era contemplato lo studio dei “mezzi di difesa coscienti”, ossia stratagemmi ed espedienti costituenti modalità sistematiche concepite dal paziente per eludere o contenere i condizionamenti e la sofferenza causata da idee avvertite come obblighi interiori. Lo studio clinico di questo comportamento nel singolo paziente da parte dello psicoterapeuta è stato progressivamente abbandonato nei decenni in cui prevaleva l’interesse a riportare prevalentemente ai meccanismi di isolamento dell’affetto[3], formazione reattiva[4], spostamento[5] e razionalizzazione[6] la natura dei processi mentali, e alla coazione a ripetere e al pensiero magico il valore simbolico di aspetti caratteristici e spesso inconfessati dell’ideazione[7]. Oggi, nonostante il generale abbandono della prospettiva psicoanalitica, soprattutto a fronte della dimostrazione di vari endofenotipi cerebrali tipici del disturbo ossessivo-compulsivo e più marcati nelle persone con sintomatologia invalidante, non si è avuto un ritorno sistematico allo studio delle strategie intenzionali adottate dal singolo paziente, e in molte scuole di psichiatria si trascura l’esame di tali soluzioni soggettive.

Invece, la conoscenza di questo aspetto della vita mentale della persona affetta dal disturbo può rivelarsi preziosa per intervenire nel modo più adeguato ed efficace con suggerimenti terapeutici.

L’evidenza che una condizione generica volta a promuovere il benessere psicofisico, come l’andare in vacanza, può talvolta ridurre drasticamente le manifestazioni cliniche ha costituito un pretesto per molti psichiatri per rinunciare a un impegno di conoscenza psicologica con fine psicoterapeutico, affidandosi unicamente ai farmaci o scegliendo di occuparsi “solo del cervello”, delegando la “gestione della mente” a psicologi, generalmente privi di formazione medica e neuroscientifica, spesso inadeguati per preparazione ad affrontare problemi psicologici che si intrecciano regolarmente con quelli suscitati da malattie fisiche in atto, dal rischio di ammalarsi, da timori infondati o da preoccupazioni ipocondriache; ossia tutte condizioni che richiedono una solida formazione medico-specialistica e un lungo esercizio nella diagnosi differenziale[8].

Solo apparentemente, cioè nella fenomenica dinamica, le verifiche ripetute di atti compiuti nella vita quotidiana da ciascuno di noi possono essere paragonate al controllo ripetuto delle proprie azioni del paziente ossessivo. Infatti, in assenza del disturbo, la necessità di verificare e ripetere ciò che si è appena fatto deriva da condizioni temporanee e sporadiche che riducono l’efficienza della supervisione automatica delle procedure psichiche attuali. A tutti noi può capitare che un eccesso di ansia e altri stati che attivano i sistemi neuronici dello stress che interferiscano con le procedure cognitive di base, la cui efficienza può essere ridotta anche da affaticamento, mancanza di recupero attraverso il sonno, assunzione di alcoolici e altre sostanze psicotrope. Si ritiene che tali cause riducano le prestazioni della working memory, la memoria di funzionamento che accompagna momento per momento l’attività psichica in atto, integrando il livello delle decisioni con quello delle procedure.

Infatti, come è noto, tutto il nostro comportamento intenzionale, cosciente e deliberato si avvale di blocchi procedurali controllati automaticamente da un livello sottostante la coscienza esplicita o dichiarativa; tale livello automatico invia segnali di feedback inibitorio alla coscienza: in assenza di questi segnali si attiva la consapevolezza del soggetto, che procede alla verifica cosciente del compimento di un’azione portata a termine automaticamente, come chiudere l’auto appena parcheggiata, spegnere il computer, accendere un climatizzatore, riporre oggetti in un cassetto e così via.

Nel disturbo ossessivo-compulsivo la tendenza sintomatica alla verifica superflua, a volte ripetuta e assimilata alle procedure di ripetizione compulsiva rituale, come dover lavare le mani “contaminate” da qualcosa per un numero definito e costante di volte, è un sintomo cronicamente presente e si studia per comprendere il suo rapporto neurofisiologico con l’episodico difetto di memoria a breve termine che riguarda tutti.

Prima di riferire dello studio oggetto della recensione, proviamo a inquadrare la nuova acquisizione in un contesto aggiornato di nozioni[9].

Il disturbo ossessivo-compulsivo [Obsessive-Compulsive Disorder (OCD), DSM-5 300.3 (F42)] è diagnosticato sulla base di queste manifestazioni:

1) pensieri, immagini, parole, frasi o concetti, intrusivi e persistenti (ossessioni) che invadono la mente del soggetto, imponendosi alla sua coscienza;

2) particolari attività mentali o materiali ripetitive (compulsioni), che il paziente si sente obbligato a compiere e, secondo le interpretazioni classiche, in grado di alleviare la tensione psichica che spesso accompagna l’ideazione ossessiva[10].

Come risulta evidente, l’identificazione si basa ancora sui tratti psicologici e comportamentali, il cui riconoscimento richiede però un’indagine accurata, come si comprende da questa osservazione: “L’OCD è stato spesso sottovalutato, perché erroneamente assimilato a condizioni caratterizzate dalla presenza, temporanea e sfumata nel corso di stati ansiosi, di sintomi di questo genere in persone che, evidentemente, presentano un tratto di predisposizione, ma non il disturbo completamente espresso. Ancora, è stato erroneamente diagnosticato in pazienti che, a fronte di preoccupazioni ansiose o vere e proprie fobie, sviluppano sistemi di precauzione che possono alla lontana ricordare i “rituali” compulsivi: la rinunciabilità di questi comportamenti, come osservato da Perrella, accanto alla variabilità dei modi e all’assenza dei caratteri precipui delle ossessioni, può orientare la diagnosi[11].

È ragionevole supporre, allo stato attuale delle conoscenze, che una parte considerevole dei processi psicologici che si sviluppano nelle persone affette da OCD sia la conseguenza diretta o indiretta di uno stato neurofunzionale cerebrale, sviluppato in quella forma a causa di particolari alterazioni molecolari genetiche ed epigenetiche in grado di interferire a vari livelli con la fisiologia dell’encefalo. La forma caratteristica in cui si esprime il disturbo[12], secondo Giuseppe Perrella, sarebbe dovuta a una proprietà del livello psichico dell’organizzazione funzionale del cervello, consistente nell’esprimere un numero limitato e caratteristico di “schemi di alterazione” (in genere corrispondenti alle sindromi della nosografia) prodotti dal mancato rispetto di principi che regolano le sintesi funzionali fra sistemi neuronici. Secondo tale interpretazione, anche alterazioni molecolari diverse possono causare lo stesso deficit di integrazione fra circuiti, producendo gli stessi sintomi[13].

La ricerca di correlati neurofunzionali nel cervello di persone affette dal disturbo ossessivo-compulsivo è condotta da anni mediante metodiche di neuroimmagine, inizialmente impiegate al fine di rilevare generiche differenze con il cervello di persone non affette, nelle medesime condizioni di saggio, poi sempre più mirate verso l’individuazione di attività di reti neuroniche sicuramente associate con i tratti fisiopatologici definiti dalla convergenza dei risultati ottenuti con differenti metodi di indagine, inclusi i modelli sperimentali.

Già otto anni or sono si riportavano queste attualissime osservazioni: “Anche se la fisiopatologia del disturbo non è ancora stata definita con precisione, alcuni correlati sono ormai considerati un indice certo di un’alterazione neurofunzionale in grado di condizionare i processi psichici: in particolare, difetti nel circuito cortico-striatale e talamo-corticale sono stati dimostrati da tempo (Graybiel & Rauch, 2000) e poi verificati e riscontrati più volte negli anni seguenti[14]. Impiegando la tecnica di rilevazione spettroscopica in corso di esame dell’encefalo mediante risonanza magnetica (MRS) è stato rilevato un interessamento della sostanza bianca parietale e cambiamenti nei fosfolipidi della guaina mielinica degli assoni e della membrana delle cellule gliali (Kitamura, et al., 2006).

Coerentemente con le numerose evidenze accumulate negli anni, indicanti alterazioni in un circuito che comprende il giro del cingolo e segmenti neoencefalici cortico-talamici, studi condotti con metodiche di imaging basate sulla risonanza magnetica (MR diffusion spectrum imaging) e la trattografia hanno evidenziato, nei pazienti affetti da forme pienamente espresse del disturbo, anomalie della sostanza bianca nel segmento anteriore del fascio del cingolo e nella radiazione talamica anteriore (Chiu, et al., 2011)”[15].

Un numero considerevole di studi di neuroimmagine ha documentato un’attività metabolica più intensa nella corteccia orbitofrontale e in quella del giro del cingolo, accanto ad un incremento più contenuto nelle aree dello striato, sostanzialmente corrispondenti a reti che fanno capo al nucleo caudato e al lenticolare. Alcuni studi strutturali, dedicati alla valutazione morfometrica di aree e regioni cerebrali, hanno rilevato una riduzione volumetrica proprio della corteccia orbitofrontale, oltre che dell’amigdala, un complesso nucleare importante per l’elaborazione delle emozioni ma attivo anche in processi cognitivi quali quelli legati all’attribuzione di rilievo alle esperienze percettive in corso.

Una fonte di informazioni importante sulle possibili basi neurali della sintomatologia ossessivo-compulsiva è data dall’analisi mediante neuroimmagini del cervello di persone non affette dal disturbo fino a quando non siano incorse in lesioni cerebrali focali, che hanno determinato la comparsa delle manifestazioni tipiche[16]. In questo ambito, il riferimento principale è costituito da uno studio condotto ventidue anni fa da Berthier e colleghi su 13 pazienti, che avevano presentato sintomi di ossessione e condotte compulsive dopo lesioni circoscritte del cervello[17]. Le lesioni interessavano sedi diverse, quali la corteccia del giro del cingolo, la corteccia frontale e la corteccia temporale, tanto quanto i nuclei della base encefalica. Due, delle lesioni localizzate con maggiore precisione, erano un amartoma della circonvoluzione paraippocampale di destra e un infarto del segmento posteriore del putamen[18]. Per le altre localizzazioni in altri pazienti, pur ben definite dagli autori dello studio, sussistono dei dubbi di significatività per la presenza di altri danni cerebrali e manifestazioni di tipo epilettico.

Un classico modello clinico di riferimento, per cercare di individuare la base neurale dei sintomi ossessivi, è rappresentato dalla sindrome di Gilles de la Tourette, in cui vari tipi di tic, inclusi quelli vocali che attrassero particolarmente l’attenzione dei clinici del secolo scorso, sono associati a sintomatologia ossessivo-compulsiva in oltre il 50% dei casi. Questa sindrome, per la cui descrizione completa si rimanda alle trattazioni specialistiche[19], generalmente esordisce nell’infanzia, con una proporzione maschi/femmine di 3 a 1, manifestandosi con un singolo tic, al quale se ne aggiungono altri nel tempo, e caratterizzandosi per la combinazione di tic motori e vocali, questi ultimi spesso contraddistinti dall’alto volume e dal tono irritante. Tra i comportamenti motori impulsivi vi sono atti ripetuti quali saltare, accovacciarsi, girare in circolo e toccare persone vicine; mentre tra le manifestazioni verbali si rileva la palilalia, l’ecolalia e la coprolalia[20]. Shapiro, uno dei maggiori studiosi della sindrome, ha rilevato che in un terzo dei casi osservati, tic isolati erano presenti nei parenti del paziente. Vari studi hanno riportato, per entrambi i disturbi, un raggruppamento familiare di casi secondo uno schema di trasmissione che corrisponde a quello di un carattere mendeliano autosomico dominante a penetranza incompleta, secondo quanto era stato compreso già trent’anni fa[21].

Un’altra fonte di conoscenze è costituita dai numerosi casi in cui un danno dello striato facilmente individuabile è seguito da un comportamento ossessivo. Una di tali entità cliniche è costituita dal cosiddetto disturbo da tic post-streptococcico (PANDAS o pediatric autoimmune neuropsychiatric disorders associated with streptococcal infections). Questa sindrome è connessa con una malattia del sistema nervoso da alterazione extrapiramidale inclusa nella nosografia neurologica classica, ossia la Corea di Sydenham, in cui coesistono anomalie comportamentali ossessive con tic e disturbi di moto a queste assimilabili. Gli studi di neuroimmagine sul cervello di pazienti affetti da PANDAS non hanno fornito risultati uniformi e facili da schematizzare; tuttavia, nella maggior parte dei casi, è stato rilevato un livello più alto di attività nel nucleo caudato e nella corteccia orbitofrontale, in associazione con i pensieri compulsivi dei pazienti.

Ma la ricerca più recente, avendo capitalizzato l’importanza delle alterazioni molecolari e sinaptiche insieme con la difficoltà di decifrarne il ruolo esatto nello sviluppo dei sintomi, ha concentrato l’attenzione sull’identificazione di quello che la genetica psichiatrica chiamava fenotipo cerebrale del disturbo. In termini di quesito: le cause principalmente genetiche (genotipo) a quale espressione strutturale e morfo-funzionale (fenotipo cerebrale) danno luogo?

Menzies e colleghi del Brain Mapping Unit di Cambridge nel 2008, al fine di identificare un endofenotipo responsabile del disturbo ossessivo-compulsivo, hanno condotto uno studio da noi presentato cominciando dall’illustrazione del concetto: “Gli endofenotipi (o fenotipi intermedi) sono tratti oggettivi, quantitativi ed ereditabili, che rappresentano fattori di rischio per disturbi poligenici a livelli più idonei al trattamento dei fenotipi comportamentali o clinici. Si ipotizza che i modelli fenotipici di malattia possano aiutare la comprensione dell’eziologia e l’inquadramento diagnostico di complesse alterazioni della fisiologia psichica come il disturbo ossessivo compulsivo (OCD)”[22].

Gli autori dello studio riuscirono, per la prima volta, a definire un endofenotipo neurocognitivo del disturbo ossessivo-compulsivo[23].

In precedenza, Welch e colleghi avevano posto in relazione difetti rilevati nelle sinapsi glutammatergiche cortico-striate con un comportamento animale equivalente alla compulsione a lavarsi ripetutamente[24]. Abbiamo riportato in sintesi nel 2018 alcuni aspetti interessanti di questi studi, che qui riprendiamo in parte[25]. Nell’ambito della ricerca sulla genetica del disturbo, una probabile traccia da seguire è venuta dall’identificazione, da parte del Premio Nobel Mario Roberto Capecchi, di un deficit di Hoxb8 quale causa di un “comportamento compulsivo di ripulitura del topo, che giunge a prodursi graffi e perdita del pelo”[26] e ricorda il lavarsi ripetuto di certi rituali ossessivi[27]. Nell’articolo di uno di noi (Giovanni Rossi), dal titolo La microglia nel disturbo ossessivo-compulsivo, al quale si rimanda per un’esposizione organica e informativa sull’argomento, si propone la ricostruzione del collegamento fra il difetto in Hoxb8, appartenente alla famiglia Hox di geni regolatori del piano di sviluppo, e il comportamento ritenuto equivalente della compulsione a lavarsi:

La condotta di stropicciamento ad oltranza di parti del proprio corpo nei topi con un difetto in Hoxb8, era così suggestiva da indurre molti ricercatori a studiare il loro cervello, ma, sorprendentemente, la risposta alla domanda relativa alla causa di quel comportamento non è venuta dal sistema nervoso centrale.

Sulle prime la questione sembrava un rompicapo insolubile, perché la proteina HoxB8, ossia la molecola codificata dal gene Hoxb8, non è espressa dai neuroni. Trapiantando in questi roditori cellule provenienti dal midollo osseo di topi a genotipo naturale, il comportamento scompariva (Chen, et al., 2010). I ricercatori provarono, allora, a trasferire il fenotipo comportamentale trapiantando, in topi normali, cellule emopoietiche del midollo osseo dei topi portatori omozigoti della mutazione con perdita di funzione di Hoxb8. Anche questa operazione ebbe successo e i roditori a genotipo naturale diventarono temporaneamente dei «lavatori compulsivi».

La spiegazione di questi risultati non è stata difficile. Nel cervello, quasi tutte le cellule esprimenti Hoxb8 appartengono alla microglia o alle serie mieloidi, pertanto sono questi elementi gliali a mediare gli effetti dell’alterazione genetica: ciò vuol dire che il comportamento di grooming esasperato, simile ai sintomi compulsivi, origina da cellule microgliali/immuni innate difettose che, nel cervello, pongono in diretto rapporto la funzione emopoietica col comportamento[28].

La nuova prospettiva ha contribuito a far cadere un mito classico della psicopatologia e della psichiatria accademica del secolo scorso, ossia che la configurazione psicologica di personalità – in questo caso ossessiva – sia alla base della forma dei sintomi, che si riteneva insorgessero al determinarsi di uno scompenso psicoadattativo. In altri termini, si riteneva che la personalità isterica scompensandosi desse luogo alla nevrosi isterica, la personalità fobica alla nevrosi fobica e la personalità ossessiva alla nevrosi ossessiva[29]. In realtà, si può notare come tante persone che corrispondono alla descrizione della personalità ossessiva non sviluppino mai una condizione di disturbo ossessivo-compulsivo, che invece si diagnostica molte volte in persone prive dei tratti più caratteristici dello stile psicologico ossessivo[30].

L’abitudine clinica a considerare le sindromi ossessive tra i disturbi d’ansia ha fatto trascurare per decenni gli aspetti cognitivi della sindrome che, sebbene si manifesti spesso in persone con un’intelligenza superiore alla media[31], comporta lievi alterazioni di processi di base necessari all’esercizio di varie attività cognitive.

In altri termini, si è osservato in numerosi pazienti che le capacità induttive e deduttive bene esercitate anche in ragionamenti talvolta brillanti o nella ricerca di soluzioni a problemi logici, talvolta non sono supportate da strumentalità cognitive di base adeguatamente efficienti.

Oltre alla già citata riduzione dell’inibizione della risposta, da tempo è stato documentato un livello più basso di prestazioni della working memory (WM), ossia la memoria di funzionamento che supporta tutta la nostra elaborazione della realtà. I meccanismi alla base di tali difetti non sono noti e mancano evidenze empiriche del supposto collegamento con il deficit di inibizione. Per cercare di individuare le sedi interessate dai meccanismi implicati nella riduzione di efficienza della WM e verificare l’esistenza di un legame con il difetto di inibizione della risposta, Heinzel e colleghi hanno studiato i correlati cerebrali, mediante fMRI, di prestazioni per compiti specifici per la verifica di queste funzioni in 51 pazienti diagnosticati di disturbo ossessivo-compulsivo e 49 volontari non affetti, sperimentalmente equivalenti e fungenti da gruppo di controllo.

Tutti i partecipanti sono stati sottoposti ad un classico test di WM, ossia il numeric n-back task, con quattro diversi livelli di carico della WM, e studiati durante l’esecuzione della prova con la fMRI. Una parte del campione costituito dai partecipanti (sottoinsieme) è stata anche osservata nell’esecuzione di un compito classico di stop signal fuori dello scanner MRI. Per i dettagli del metodo si rimanda al nostro articolo del 2018, qui ci basta riportare il significativo decremento funzionale da carico della memoria di funzionamento nei pazienti, rispetto alle persone non affette, in due aree della corteccia cerebrale: l’area motoria supplementare e il lobulo parietale inferiore. In estrema sintesi, i risultati delle analisi delle prove comparate con le immagini del cervello in fMRI hanno rivelato nei pazienti una ridotta modulazione dell’attività neurale dipendente dal carico di memoria di funzionamento, e suggeriscono un meccanismo neurale comune per la disfunzione inibitoria e la riduzione del supporto di memoria all’attività cognitiva attuale.

Torniamo ora al lavoro qui recensito.

Alec Solway, Zhen Lin e Ekansh Vinaik hanno impostato il loro studio secondo una concezione che considera unico il processo alla base di tutte le operazioni decisionali, così che la decisione di sposarsi, di studiare all’estero, di cambiare lavoro o andare in pensione sono equiparate alla decisione di aprire una porta, accendere una stufa, chiudere l’automobile o bere una bibita. In quest’ottica, il ritornare su una scelta di vita già presa, magari tentennando a lungo fra due possibilità, e verificare più volte se si è spento il computer o se si è messo in ricarica lo smartphone sono considerati atti mentali equivalenti.

Secondo questo criterio, adottato spesso di recente nell’analisi delle strumentalità cognitive, si presume un elemento esecutivo comune alle verifiche dell’ossessivo compulsivo e a quelle che ciascuno di noi compie in momenti di perdita di efficienza del controllo cognitivo dovuta all’interferenza di uno stato ansioso o a indebolimento della sua base neurofunzionale per svariate altre ragioni. È opportuno precisare che in termini di semeiotica psichiatrica è improponibile l’assimilazione dei due tipi di sintomi, regolarmente tenuti distinti nei pazienti: la verifica e il controllo ripetuto di piccoli atti, in passato attribuita al meccanismo psichico dell’annullamento, può essere una costante in pazienti che non sembrano inclini a ritornare sulle scelte importanti della vita; viceversa, alcune persone permanentemente tormentate dal dubbio su scelte compiute tanti anni prima o mai compiute per incapacità a risolversi in un senso o nell’altro, presentano solo sporadicamente condotte di verifica ripetuta di piccoli gesti.

Tuttavia è ragionevole supporre, come si diceva, che possano essere accomunate nel segmento di processo mentale corrispondente all’esecutività decisionale, secondo quanto assunto dai tre autori dello studio che, focalizzando l’attenzione sulla mancanza di conoscenza del modo in cui l’informazione viene trasferita da un episodio decisionale all’altro in entrambi i tipi di revisione delle azioni, si sono prefissi di individuare questo modo e analizzarlo comparando quanto avviene nelle persone non affette da disturbi e nei pazienti diagnosticati di disturbo ossessivo-compulsivo.

In estrema sintesi, due esperimenti realizzati facendo eseguire a pazienti e volontari del gruppo di controllo un compito decisionale (decision-making task) e adottando il modellamento computazionale (computational modeling) sono stati sufficienti a fornire elementi di notevole chiarezza e significatività. Infatti, hanno rivelato che sia le memorie implicite che le memorie esplicite delle precedenti decisioni influiscono in modo determinante e caratteristico sulle decisioni seguenti attraverso un condizionamento tendenziale del tasso di integrazione di evidenza.

Un’altra parte importante dello studio è consistita nell’esplorazione del processo decisionale elementare nelle persone affette da disturbo ossessivo-compulsivo. I tre ricercatori hanno ottenuto risultati che replicano quanto registrato in precedenti ricerche, e hanno dimostrato la presenza di difetti nel processo decisionale di base in funzione di sintomi del disturbo auto-riferiti dai pazienti partecipanti alla sperimentazione; e hanno rilevato che gli effetti del trasferimento di informazione specificamente attivato dalla memoria implicita era ridotto nelle persone con il grado più elevato di manifestazioni cliniche e di gravità dei sintomi del disturbo ossessivo-compulsivo, che presentavano anche altri deficit in processi di base necessari per l’esecutività decisionale. Infine, i dati emersi dallo studio hanno offerto interessanti nozioni computazionali sul comportamento di verifica ripetuta.

 

Gli autori della nota ringraziano la dottoressa Isabella Floriani per la correzione della bozza e invitano alla lettura delle recensioni di argomento connesso che appaiono nella sezione “NOTE E NOTIZIE” del sito (utilizzare il motore interno nella pagina “CERCA”).

 

Giovanna Rezzoni & Giovanni Rossi

BM&L-23 gennaio 2021

www.brainmindlife.org

 

 

 

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[1] Cfr. Emil Kraepelin, Psychiatrie, vol. 4, p. 1823, Barth, Leipzig 1915.

[2] Cfr. Pierre Janet, Névroses et Idées Fixes. Alcan, Paris 1898. [V. ristampa della Société Pierre Janet, 1990].

[3] È il meccanismo inconscio che consente all’ossessivo di rimanere lucido e apparentemente distaccato in circostanze di intensa partecipazione affettiva, come il funerale di una persona cara, o in una condizione di elevato rischio personale. Si dice che l’ossessivo “stacca l’affetto dalla rappresentazione”.

[4] Consiste nello sviluppo di un atteggiamento opposto a sentimenti profondi che la coscienza del paziente non potrebbe tollerare; così, l’estrema gentilezza e il rispetto formale dell’altro sarebbero formazione reattiva di un’ostilità inconscia non esprimibile.

[5] Come nel caso del Piccolo Hans che aveva spostato su un cavallo l’ostilità nei suoi confronti che lui attribuiva a suo padre, tanto da temere di poter essere morso da quel cavallo, lo spostamento consiste nel trasferimento inconscio da un soggetto all’altro di intenzioni, sentimenti o proprietà importanti per l’affettività del paziente.

[6] È il meccanismo inconscio che determina un’interpretazione razionale di una realtà secondo la convenienza affettiva del soggetto. Un tipo comune di razionalizzazione è la svalutazione: un atleta che non riesce a vincere e dichiara convinto che quella gara non valeva nulla; come la volpe della celebre favoletta di Fedro che, non riuscendo in alcun modo a raggiungere l’uva troppo alta per i suoi salti, dice che l’uva era acerba. Nel disturbo ossessivo-compulsivo la razionalizzazione sarebbe l’origine inconscia delle giustificazioni ragionevoli nei termini delle circostanze dei comportamenti dovuti in realtà ai sintomi.

[7] Un meccanismo oggi citato solo di rado è l’annullamento, perché consiste in un’interpretazione in chiave simbolica dei sintomi costituiti dal ripetere un’azione o ritornarvi più volte con verifiche o modifiche. Un ossessivo – ma anche chi non lo è – può, ad esempio, dopo aver chiuso a chiave una porta, girare la maniglia come se volesse aprirla, per verificare se è effettivamente chiusa, compiendo apparentemente l’azione inversa a quella del chiudere. Tutti gli atti che possono rientrare in questa tipologia erano interpretati come azioni simboliche volte ad annullare quelle compiute in precedenza. Tale interpretazione segue la falsariga del sintomo/simbolo isterico, ed è venuta a cadere quando si è compreso che l’origine dei sintomi del disturbo ossessivo-compulsivo non è in una intenzionalità inconscia comunicata in chiave simbolica, ma si sviluppa come adattamento psicologico ad alterazioni neurofunzionali di base.

[8] Molti di tali psicologi clinici seguono teorie psicologiche superate e ottengono talvolta effetti positivi grazie alla fiducia del paziente nel porre in essere dei semplici consigli di buon senso.

[9] Per un esame del pensiero freudiano a partire dalla lezione 17 sulla nevrosi ossessiva e un bilancio critico alla luce delle conoscenze neuroscientifiche attuali si rimanda a Note e Notizie 13-01-18 Correlati fMRI del disturbo ossessivo-compulsivo.  Da questo stesso articolo è tratto l’impianto di sintesi delle nozioni emerse dagli studi recenti.

[10] Per una definizione più precisa e completa si rinvia al seguente testo, dal quale è stata tratta per sintesi quella riportata: Giuseppe Perrella, Osservazioni su casi di “nevrosi e personalità ossessiva”, condotte negli anni 1981-1984 e discusse al Seminario sull’Arte del Vivere 2004/2005. BM&L-Italia, Firenze 2005. Per una discussione sul mutamento di prospettiva in psichiatria, si veda l’articolo: G. Perrella, La concezione del Disturbo Ossessivo-Compulsivo e il superamento della tradizione interpretativa di matrice psicodinamica basata sulla teoria della personalità. BM&L-Italia, Firenze 2004 (cfr. Note e Notizie 23-03-13 La Microglia nel disturbo ossessivo-compulsivo).

[11] Note e Notizie 23-03-13 La Microglia nel disturbo ossessivo-compulsivo.

[12] Questo vale per l’espressione clinica caratteristica di tutti i principali disturbi psichiatrici.

[13] Il nostro presidente sostiene da decenni questo principio generale nella patogenesi dei disturbi psichici.

[14] Si veda Note e Notizie 03-11-07 Sinapsi cortico-striate nel disturbo ossessivo-compulsivo.

[15] Note e Notizie 23-03-13 La microglia nel disturbo ossessivo-compulsivo.

[16] Naturalmente, il rilievo delle sedi del danno e dell’entità delle deviazioni dalla norma fisiologica non fornisce la certezza di aver individuato l’origine anatomica e funzionale delle manifestazioni cliniche, in quanto allo stato attuale delle conoscenze non si può escludere che gli stessi sintomi possano essere determinati da alterazioni in punti diversi di una rete neuronica e per ragioni cellulari e molecolari differenti; tuttavia, rimane un’indicazione preziosa per lo sviluppo di ulteriori ipotesi di lavoro.

[17] Berthier M. L., et al. Obsessive-compulsive disorder associated with brain lesions: Clinical phenomenology, cognitive function and anatomic correlates. Neurology 47, 353, 1996.

[18] Ricordiamo che costituisce la parte esterna del nucleo lenticolare, completato medialmente dal globus pallidus.

[19] Si veda in Adams and Victor’s Principles of Neurology (Allan H. Ropper, Martin A. Samuels, Joshua P. Klein) 10th Edition, pp. 110-112, McGraw Hill Medical 2014. Il repertorio completo dei tic e delle compulsioni è stato descritto da Tolosa e Bayes, e riportato nelle rassegne di Jankovic e Leckman, diventate due “classici” imprescindibili: Jankovic J., Tourette’s syndrome. New England Journal of Medicine 345: 1184, 2001; Leckman J. F., Tourette’s syndrome. Lancet 360: 1577, 2002.

[20] È interessante notare che la coprolalia, intesa quale emissione incoercibile di parole oscene o volgari, è virtualmente assente nei pazienti giapponesi, la cui cultura rigorosamente decorosa contempla pochissime espressioni linguistiche che possano rientrare in questa categoria; espressioni che, di fatto, non sono mai impiegate e sono a molti sconosciute.

[21] Kurlan R., Tourette’s syndrome: Current concepts. Neurology 39: 1625, 1989.

[22] Note e Notizie 02-02-08 Fenotipo cerebrale ossessivo-compulsivo.

[23] La descrizione dell’endofenotipo è riportata nella citata recensione dello studio originale.

[24] Note e Notizie 03-11-07 Sinapsi cortico-striate nel disturbo ossessivo-compulsivo.

[25] Note e Notizie 13-01-18 Correlati fMRI del disturbo ossessivo-compulsivo.

[26] Note e Notizie 03-11-07 Sinapsi cortico-striate nel disturbo ossessivo-compulsivo.

[27] Note e Notizie 13-10-07 Il Premio Nobel a Mario Roberto Capecchi.

[28] Note e Notizie 23-03-13 La microglia nel disturbo ossessivo-compulsivo.

[29] Le teorie della personalità hanno avuto anche un notevole impatto culturale nella loro descrizione degli stili di personalità, che sono diventati dei paradigmi di tipologie umane nella letteratura, nel teatro e nel cinema. I meno giovani ricorderanno l’attore David Niven nella magistrale interpretazione di un personaggio dallo stile ossessivo, quale perfetto modello del gentiluomo della buona società. In effetti, le descrizioni degli stili di personalità sono figure astratte che, nel concreto, si realizzano come portato di una sintesi fra le propensioni temperamentali del soggetto e le influenze ambientali costituite soprattutto dall’educazione e dai modelli di persone reali con le quali identificarsi.

[30] Vari esempi di queste “presunte eccezioni” sono apparsi fin dai primi anni Ottanta nelle osservazioni di Giuseppe Perrella, condotte presso l’Istituto di Clinica Psichiatrica della Facoltà di Medicina e Chirurgia dell’Università Federico II (Cfr. Giuseppe Perrella, “Osservazioni su casi di nevrosi e personalità ossessiva”, condotte negli anni 1981-1984 e discusse al Seminario sull’Arte del Vivere 2004/2005).

[31] In passato, questa caratteristica era ritenuta un tratto distintivo e costante, descritto con la personalità.