Nel disturbo ossessivo-compulsivo trovato un difetto che spiega un sintomo
GIOVANNA REZZONI & GIOVANNI ROSSI
NOTE E NOTIZIE - Anno XVIII – 23 gennaio 2021.
Testi pubblicati sul sito www.brainmindlife.org
della Società Nazionale di Neuroscienze “Brain, Mind & Life - Italia” (BM&L-Italia).
Oltre a notizie o commenti relativi a fatti ed eventi rilevanti per la Società,
la sezione “note e notizie” presenta settimanalmente lavori neuroscientifici
selezionati fra quelli pubblicati o in corso di pubblicazione sulle maggiori riviste
e il cui argomento è oggetto di studio dei soci componenti lo staff dei recensori della Commissione Scientifica della Società.
[Tipologia del testo: RECENSIONE E AGGIORNAMENTO]
Il disturbo ossessivo-compulsivo, registrato in nosografia
psichiatrica come Zwangsneurose per la
prima volta da Kraepelin nel 1860[1] e descritto come stile mentale e
ideativo anancastico da Pierre Janet[2] – che parlava di oscillazioni
intellettuali, tendenze alla verifica ripetuta, a cogliere il presagio, a
cercare la simmetria o la perfezione e alla reiterazione di interrogativi
talora estenuante – fu definito quale entità clinica a sé stante da Sigmund
Freud, principalmente basandosi sull’analisi psicologica di due suoi pazienti e
su numerosi resoconti clinici ottenuti da altri medici psichiatri. Fino a tempi
recenti, quando sono state evidenziate alcune basi neurobiologiche del
disturbo, l’ingegnosa e coerente costruzione sviluppata da Freud per giustificare
nell’ottica di un’eziologia psicologica i sintomi e lo stile mentale dell’ossessivo,
ha profondamente influenzato la concezione e la psicoterapia del disturbo.
Oggi, accantonata la teoria freudiana dello sviluppo libidico che voleva l’ossessivo
fissato allo stadio anale (o “sadico-anale” dei kleiniani) e abbandonata l’idea
di una causa psicologica dei sintomi per effetto di meccanismi inconsci generati
da particolari esperienze nelle relazioni affettive primarie, si impiegano i
resoconti clinici per comprendere la psicologia del paziente. Perché, anche se
si sono compiuti notevoli progressi nella conoscenza delle basi neuropatologiche,
a partire da quando si è accertata un’iperfunzione del circuito di segnalazione
dell’errore che sembra non rispondere al feedback che normalmente lo
spegne, ancora molto c’è da conoscere e definire in termini patogenetici e
fisiopatologici.
È oggetto di intensi studi la tendenza nel disturbo ossessivo-compulsivo a
ripetere degli atti intenzionali, come nel caso delle verifiche ripetute che
appaiono superflue o nell’apparente ritornare numerose volte su scelte già operate,
con un atteggiamento di oscillazione esecutiva fra decisioni, caratteristico e
diverso dal normale dubbio che comporta in genere una stasi riflessiva che
rinvia l’esecutività. Alec Solway, Zhen Lin
e Ekansh Vinaik hanno
studiato il trasferimento di informazioni durante le decisioni ripetute, sia in
condizioni ordinarie sia nel disturbo ossessivo-compulsivo, ottenendo
interessanti risultati.
(Alec Solway, Zhen Lin & Ekansh
Vinaik, Transfer of information across repeated
decisions in general and in obsessive-compulsive disorder. Proceedings
of the National Academy of Sciences USA – 118 (1): e2014271118, 2021).
La provenienza degli autori è la seguente: Program in
Neuroscience and Cognitive Science, Department of Psychology, Department of
Computer Science, University of Maryland, College Park, MD (USA).
È importante l’ascolto del paziente,
non solo perché le differenze individuali sono significative e appaiono sempre
più rilevanti quanto più si conosce la persona, ma soprattutto perché, al fine
di suggerire modi, metodi ed esercizi per fare fronte alle difficoltà, è
necessario conoscere l’ideazione, che in parte è direttamente indotta dalle
alterazioni della fisiologia dei sistemi neuronici e in parte è reattiva, ma generalmente
include già strategie personali di gestione dei sintomi che, se assecondati
passivamente nelle loro irrazionali e diseconomiche priorità, possono
compromettere non solo la vita di relazione ma anche l’espletamento di compiti
necessari a soddisfare le esigenze più elementari. Pertanto, tutti coloro che
convivono con questo disturbo conservando uno stile di vita normale e un
equilibrio psicoadattativo accettabile, adottano strategie personali di gestione
dei sintomi.
Nella psichiatria classica, prima
che si affermasse in psicopatologica il paradigma psicodinamico, basato sull’identificazione
dei meccanismi di difesa inconsci, e dunque per definizione automatici e
involontari, nella clinica della “nevrosi ossessiva” era contemplato lo studio
dei “mezzi di difesa coscienti”, ossia stratagemmi ed espedienti costituenti modalità
sistematiche concepite dal paziente per eludere o contenere i condizionamenti e
la sofferenza causata da idee avvertite come obblighi interiori. Lo studio clinico
di questo comportamento nel singolo paziente da parte dello psicoterapeuta è
stato progressivamente abbandonato nei decenni in cui prevaleva l’interesse a
riportare prevalentemente ai meccanismi di isolamento dell’affetto[3], formazione reattiva[4], spostamento[5] e razionalizzazione[6] la natura dei processi mentali, e alla coazione a ripetere e al pensiero
magico il valore simbolico di aspetti caratteristici e spesso inconfessati dell’ideazione[7]. Oggi, nonostante il generale abbandono della prospettiva psicoanalitica, soprattutto
a fronte della dimostrazione di vari endofenotipi cerebrali tipici del disturbo
ossessivo-compulsivo e più marcati nelle persone con sintomatologia
invalidante, non si è avuto un ritorno sistematico allo studio delle strategie
intenzionali adottate dal singolo paziente, e in molte scuole di psichiatria si
trascura l’esame di tali soluzioni soggettive.
Invece, la conoscenza di questo
aspetto della vita mentale della persona affetta dal disturbo può rivelarsi
preziosa per intervenire nel modo più adeguato ed efficace con suggerimenti
terapeutici.
L’evidenza che una condizione
generica volta a promuovere il benessere psicofisico, come l’andare in vacanza,
può talvolta ridurre drasticamente le manifestazioni cliniche ha costituito un
pretesto per molti psichiatri per rinunciare a un impegno di conoscenza
psicologica con fine psicoterapeutico, affidandosi unicamente ai farmaci o scegliendo
di occuparsi “solo del cervello”, delegando la “gestione della mente” a
psicologi, generalmente privi di formazione medica e neuroscientifica, spesso inadeguati
per preparazione ad affrontare problemi psicologici che si intrecciano regolarmente
con quelli suscitati da malattie fisiche in atto, dal rischio di ammalarsi, da
timori infondati o da preoccupazioni ipocondriache; ossia tutte condizioni che
richiedono una solida formazione medico-specialistica e un lungo esercizio
nella diagnosi differenziale[8].
Solo apparentemente, cioè nella
fenomenica dinamica, le verifiche ripetute di atti compiuti nella vita quotidiana
da ciascuno di noi possono essere paragonate al controllo ripetuto delle
proprie azioni del paziente ossessivo. Infatti, in assenza del disturbo, la
necessità di verificare e ripetere ciò che si è appena fatto deriva da condizioni
temporanee e sporadiche che riducono l’efficienza della supervisione
automatica delle procedure psichiche attuali. A tutti noi può capitare che un
eccesso di ansia e altri stati che attivano i sistemi neuronici dello stress
che interferiscano con le procedure cognitive di base, la cui efficienza può
essere ridotta anche da affaticamento, mancanza di recupero attraverso il sonno,
assunzione di alcoolici e altre sostanze psicotrope. Si ritiene che tali cause
riducano le prestazioni della working memory, la memoria di funzionamento che accompagna momento
per momento l’attività psichica in atto, integrando il livello delle decisioni
con quello delle procedure.
Infatti, come è noto, tutto il
nostro comportamento intenzionale, cosciente e deliberato si avvale di blocchi
procedurali controllati automaticamente da un livello sottostante la coscienza
esplicita o dichiarativa; tale livello automatico invia segnali di feedback
inibitorio alla coscienza: in assenza di questi segnali si attiva la
consapevolezza del soggetto, che procede alla verifica cosciente del compimento
di un’azione portata a termine automaticamente, come chiudere l’auto appena
parcheggiata, spegnere il computer, accendere un climatizzatore, riporre
oggetti in un cassetto e così via.
Nel disturbo ossessivo-compulsivo la
tendenza sintomatica alla verifica superflua, a volte ripetuta e assimilata
alle procedure di ripetizione compulsiva rituale, come dover lavare le mani “contaminate”
da qualcosa per un numero definito e costante di volte, è un sintomo
cronicamente presente e si studia per comprendere il suo rapporto
neurofisiologico con l’episodico difetto di memoria a breve termine che
riguarda tutti.
Prima di riferire dello studio oggetto
della recensione, proviamo a inquadrare la nuova acquisizione in un contesto
aggiornato di nozioni[9].
Il disturbo ossessivo-compulsivo [Obsessive-Compulsive Disorder (OCD),
DSM-5 300.3 (F42)] è diagnosticato sulla base di queste manifestazioni:
1) pensieri, immagini, parole, frasi o concetti, intrusivi e
persistenti (ossessioni) che invadono
la mente del soggetto, imponendosi alla sua coscienza;
2) particolari attività mentali o materiali ripetitive (compulsioni), che il paziente si sente obbligato a compiere e, secondo
le interpretazioni classiche, in grado di alleviare la tensione psichica che spesso accompagna l’ideazione
ossessiva[10].
Come risulta
evidente, l’identificazione si basa ancora sui tratti psicologici e comportamentali,
il cui riconoscimento richiede però un’indagine accurata, come si comprende da
questa osservazione: “L’OCD
è stato spesso sottovalutato, perché erroneamente assimilato a condizioni
caratterizzate dalla presenza, temporanea e sfumata nel corso di stati ansiosi,
di sintomi di questo genere in persone che, evidentemente, presentano un tratto
di predisposizione, ma non il disturbo completamente espresso. Ancora, è stato
erroneamente diagnosticato in pazienti che, a fronte di preoccupazioni ansiose
o vere e proprie fobie, sviluppano sistemi di precauzione che possono alla
lontana ricordare i “rituali” compulsivi: la rinunciabilità di questi
comportamenti, come osservato da Perrella, accanto alla variabilità dei modi e
all’assenza dei caratteri precipui delle ossessioni, può orientare la diagnosi”[11].
È ragionevole supporre, allo stato attuale delle conoscenze, che una
parte considerevole dei processi psicologici che si sviluppano nelle persone
affette da OCD sia la conseguenza diretta o indiretta di uno stato
neurofunzionale cerebrale, sviluppato in quella forma a causa di particolari alterazioni
molecolari genetiche ed epigenetiche in grado di interferire a vari livelli con
la fisiologia dell’encefalo. La forma caratteristica in cui si esprime il
disturbo[12], secondo Giuseppe Perrella,
sarebbe dovuta a una proprietà del livello psichico dell’organizzazione
funzionale del cervello, consistente nell’esprimere un numero limitato e
caratteristico di “schemi di alterazione” (in genere corrispondenti alle
sindromi della nosografia) prodotti dal mancato rispetto di principi che
regolano le sintesi funzionali fra sistemi neuronici. Secondo tale interpretazione,
anche alterazioni molecolari diverse possono causare lo stesso deficit di
integrazione fra circuiti, producendo gli stessi sintomi[13].
La ricerca di correlati neurofunzionali nel cervello di persone affette
dal disturbo ossessivo-compulsivo è condotta da anni mediante metodiche di
neuroimmagine, inizialmente impiegate al fine di rilevare generiche differenze
con il cervello di persone non affette, nelle medesime condizioni di saggio,
poi sempre più mirate verso l’individuazione di attività di reti neuroniche
sicuramente associate con i tratti fisiopatologici definiti dalla convergenza
dei risultati ottenuti con differenti metodi di indagine, inclusi i modelli
sperimentali.
Già
otto anni or sono si riportavano queste attualissime osservazioni: “Anche se la
fisiopatologia del disturbo non è ancora stata definita con precisione, alcuni
correlati sono ormai considerati un indice certo di un’alterazione
neurofunzionale in grado di condizionare i processi psichici: in particolare,
difetti nel circuito cortico-striatale e
talamo-corticale sono stati dimostrati da tempo (Graybiel
& Rauch, 2000) e poi verificati e riscontrati più
volte negli anni seguenti[14]. Impiegando la tecnica di
rilevazione spettroscopica in corso di esame dell’encefalo mediante risonanza
magnetica (MRS) è stato rilevato un interessamento della sostanza bianca parietale e cambiamenti nei fosfolipidi della guaina mielinica degli assoni e della membrana
delle cellule gliali (Kitamura, et al., 2006).
Coerentemente
con le numerose evidenze accumulate negli anni, indicanti alterazioni in un circuito
che comprende il giro del cingolo e segmenti neoencefalici
cortico-talamici, studi condotti con metodiche di imaging basate sulla risonanza magnetica (MR diffusion spectrum imaging) e la trattografia hanno evidenziato, nei pazienti affetti da
forme pienamente espresse del disturbo, anomalie della sostanza bianca nel segmento anteriore del fascio del cingolo e nella radiazione talamica anteriore (Chiu, et al., 2011)”[15].
Un numero considerevole di studi di neuroimmagine ha documentato
un’attività metabolica più intensa nella corteccia
orbitofrontale e in quella del giro
del cingolo, accanto ad un incremento più contenuto nelle aree dello striato, sostanzialmente corrispondenti
a reti che fanno capo al nucleo caudato
e al lenticolare. Alcuni studi strutturali,
dedicati alla valutazione morfometrica di aree e
regioni cerebrali, hanno rilevato una riduzione
volumetrica proprio della corteccia
orbitofrontale, oltre che dell’amigdala,
un complesso nucleare importante per l’elaborazione delle emozioni ma attivo anche
in processi cognitivi quali quelli legati all’attribuzione di rilievo alle
esperienze percettive in corso.
Una fonte di informazioni importante sulle possibili basi neurali della
sintomatologia ossessivo-compulsiva è data dall’analisi mediante neuroimmagini
del cervello di persone non affette dal disturbo fino a quando non siano
incorse in lesioni cerebrali focali, che hanno determinato la comparsa delle
manifestazioni tipiche[16]. In questo ambito, il
riferimento principale è costituito da uno studio condotto ventidue anni fa da Berthier e colleghi su 13 pazienti, che avevano presentato
sintomi di ossessione e condotte compulsive dopo lesioni circoscritte del cervello[17]. Le lesioni interessavano
sedi diverse, quali la corteccia del giro
del cingolo, la corteccia frontale
e la corteccia temporale, tanto quanto
i nuclei della base encefalica. Due,
delle lesioni localizzate con maggiore precisione, erano un amartoma della
circonvoluzione paraippocampale
di destra e un infarto del
segmento posteriore del putamen[18]. Per le altre localizzazioni
in altri pazienti, pur ben definite dagli autori dello studio, sussistono dei
dubbi di significatività per la presenza di altri danni cerebrali e
manifestazioni di tipo epilettico.
Un classico modello clinico di riferimento, per cercare di individuare la
base neurale dei sintomi ossessivi, è rappresentato dalla sindrome di Gilles de la Tourette, in cui
vari tipi di tic, inclusi quelli vocali che attrassero particolarmente
l’attenzione dei clinici del secolo scorso, sono associati a sintomatologia
ossessivo-compulsiva in oltre il 50% dei casi. Questa sindrome, per la cui
descrizione completa si rimanda alle trattazioni specialistiche[19], generalmente esordisce
nell’infanzia, con una proporzione maschi/femmine di 3 a 1, manifestandosi con
un singolo tic, al quale se ne aggiungono altri nel tempo, e caratterizzandosi
per la combinazione di tic motori e vocali, questi ultimi spesso contraddistinti
dall’alto volume e dal tono irritante. Tra i comportamenti motori impulsivi vi
sono atti ripetuti quali saltare, accovacciarsi, girare in circolo e toccare
persone vicine; mentre tra le manifestazioni verbali si rileva la palilalia, l’ecolalia e la coprolalia[20]. Shapiro, uno dei maggiori studiosi
della sindrome, ha rilevato che in un terzo dei casi osservati, tic isolati
erano presenti nei parenti del paziente. Vari studi hanno riportato, per
entrambi i disturbi, un raggruppamento familiare di casi secondo uno schema di
trasmissione che corrisponde a quello di un carattere mendeliano autosomico
dominante a penetranza incompleta, secondo quanto era stato compreso già
trent’anni fa[21].
Un’altra fonte di conoscenze è costituita dai numerosi casi in cui un danno
dello striato facilmente individuabile è seguito da un comportamento ossessivo.
Una di tali entità cliniche è costituita dal cosiddetto disturbo da tic post-streptococcico (PANDAS o pediatric autoimmune neuropsychiatric disorders associated with streptococcal infections). Questa sindrome è connessa con una
malattia del sistema nervoso da alterazione extrapiramidale inclusa nella
nosografia neurologica classica, ossia la Corea di Sydenham,
in cui coesistono anomalie comportamentali ossessive con tic e disturbi di moto
a queste assimilabili. Gli studi di neuroimmagine sul cervello di pazienti affetti
da PANDAS non hanno fornito risultati uniformi e facili da schematizzare;
tuttavia, nella maggior parte dei casi, è stato rilevato un livello più alto di
attività nel nucleo caudato e nella corteccia orbitofrontale, in
associazione con i pensieri compulsivi
dei pazienti.
Ma la ricerca più recente, avendo
capitalizzato l’importanza delle alterazioni molecolari e sinaptiche insieme
con la difficoltà di decifrarne il ruolo esatto nello sviluppo dei sintomi, ha
concentrato l’attenzione sull’identificazione di quello che la genetica
psichiatrica chiamava fenotipo cerebrale del disturbo. In termini di
quesito: le cause principalmente genetiche (genotipo) a quale espressione
strutturale e morfo-funzionale (fenotipo cerebrale) danno luogo?
Menzies e colleghi del Brain Mapping Unit di Cambridge nel 2008,
al fine di identificare un endofenotipo responsabile del disturbo ossessivo-compulsivo,
hanno condotto uno studio da noi presentato cominciando dall’illustrazione del concetto:
“Gli endofenotipi (o fenotipi intermedi)
sono tratti oggettivi, quantitativi ed ereditabili, che rappresentano fattori
di rischio per disturbi poligenici a livelli più idonei al trattamento dei
fenotipi comportamentali o clinici. Si ipotizza che i modelli fenotipici di
malattia possano aiutare la comprensione dell’eziologia e l’inquadramento
diagnostico di complesse alterazioni della fisiologia psichica come il disturbo
ossessivo compulsivo (OCD)”[22].
Gli autori dello studio riuscirono, per la prima volta, a definire un endofenotipo
neurocognitivo del disturbo ossessivo-compulsivo[23].
In precedenza, Welch e colleghi avevano posto in relazione difetti rilevati
nelle sinapsi glutammatergiche cortico-striate con un comportamento animale
equivalente alla compulsione a lavarsi ripetutamente[24]. Abbiamo riportato in sintesi
nel 2018 alcuni aspetti interessanti di questi studi, che qui riprendiamo in
parte[25]. Nell’ambito della ricerca
sulla genetica del disturbo, una probabile traccia da seguire è venuta dall’identificazione,
da parte del Premio Nobel Mario Roberto Capecchi, di un deficit di Hoxb8 quale causa di un “comportamento
compulsivo di ripulitura del topo, che giunge a prodursi graffi e perdita del
pelo”[26] e ricorda il lavarsi ripetuto
di certi rituali ossessivi[27]. Nell’articolo di uno di noi
(Giovanni Rossi), dal titolo La microglia nel disturbo
ossessivo-compulsivo, al quale si rimanda per un’esposizione organica e
informativa sull’argomento, si propone la ricostruzione del collegamento fra il
difetto in Hoxb8, appartenente alla
famiglia Hox di geni regolatori del
piano di sviluppo, e il comportamento ritenuto equivalente della compulsione a
lavarsi:
“La condotta di stropicciamento ad oltranza di
parti del proprio corpo nei topi con un difetto in Hoxb8, era così suggestiva da indurre molti ricercatori a studiare
il loro cervello, ma, sorprendentemente, la risposta alla domanda relativa alla
causa di quel comportamento non è venuta dal sistema nervoso centrale.
Sulle prime la questione sembrava un rompicapo
insolubile, perché la proteina HoxB8, ossia la molecola codificata dal gene Hoxb8, non è espressa dai neuroni.
Trapiantando in questi roditori cellule provenienti dal midollo osseo di topi a
genotipo naturale, il comportamento scompariva (Chen, et al., 2010). I ricercatori provarono, allora, a trasferire il
fenotipo comportamentale trapiantando, in topi normali, cellule emopoietiche
del midollo osseo dei topi portatori omozigoti della mutazione con perdita di
funzione di Hoxb8. Anche questa
operazione ebbe successo e i roditori a genotipo naturale diventarono
temporaneamente dei «lavatori compulsivi».
La spiegazione di
questi risultati non è stata difficile. Nel cervello, quasi tutte le cellule
esprimenti Hoxb8 appartengono alla microglia
o alle serie mieloidi, pertanto sono questi elementi gliali a mediare gli
effetti dell’alterazione genetica: ciò vuol dire che il comportamento di grooming esasperato, simile ai sintomi
compulsivi, origina da cellule
microgliali/immuni innate difettose che, nel cervello, pongono in diretto
rapporto la funzione emopoietica col comportamento”[28].
La nuova prospettiva ha contribuito a far cadere un mito classico della
psicopatologia e della psichiatria accademica del secolo scorso, ossia che la
configurazione psicologica di personalità – in questo caso ossessiva – sia alla
base della forma dei sintomi, che si riteneva insorgessero al determinarsi di
uno scompenso psicoadattativo. In altri termini, si riteneva che la personalità
isterica scompensandosi desse luogo alla nevrosi isterica, la personalità
fobica alla nevrosi fobica e la personalità ossessiva alla nevrosi ossessiva[29]. In realtà, si può notare
come tante persone che corrispondono alla descrizione della personalità
ossessiva non sviluppino mai una condizione di disturbo ossessivo-compulsivo, che
invece si diagnostica molte volte in persone prive dei tratti più caratteristici
dello stile psicologico ossessivo[30].
L’abitudine clinica a considerare le sindromi ossessive tra i disturbi
d’ansia ha fatto trascurare per decenni gli aspetti cognitivi della sindrome
che, sebbene si manifesti spesso in persone con un’intelligenza superiore alla media[31], comporta lievi alterazioni
di processi di base necessari all’esercizio di varie attività cognitive.
In altri termini, si è osservato in numerosi pazienti che le capacità
induttive e deduttive bene esercitate anche in ragionamenti talvolta brillanti o
nella ricerca di soluzioni a problemi logici, talvolta non sono supportate da
strumentalità cognitive di base adeguatamente efficienti.
Oltre alla già citata riduzione dell’inibizione
della risposta, da tempo è stato documentato un livello più basso di
prestazioni della working memory (WM),
ossia la memoria di funzionamento che
supporta tutta la nostra elaborazione della realtà. I meccanismi alla base di
tali difetti non sono noti e mancano evidenze empiriche del supposto
collegamento con il deficit di inibizione. Per cercare di individuare le sedi
interessate dai meccanismi implicati nella riduzione di efficienza della WM e
verificare l’esistenza di un legame con il difetto di inibizione della
risposta, Heinzel e colleghi hanno studiato i
correlati cerebrali, mediante fMRI, di prestazioni per compiti specifici per la
verifica di queste funzioni in 51 pazienti diagnosticati di disturbo ossessivo-compulsivo
e 49 volontari non affetti, sperimentalmente equivalenti e fungenti da gruppo
di controllo.
Tutti i partecipanti sono stati sottoposti ad un classico test di WM,
ossia il numeric n-back task, con quattro diversi
livelli di carico della WM, e studiati durante l’esecuzione della prova con la
fMRI. Una parte del campione costituito dai partecipanti (sottoinsieme) è stata anche osservata nell’esecuzione di un compito
classico di stop signal
fuori dello scanner MRI. Per i dettagli del metodo si rimanda al nostro
articolo del 2018, qui ci basta riportare il significativo decremento
funzionale da carico della memoria di
funzionamento nei pazienti,
rispetto alle persone non affette, in due aree della corteccia cerebrale: l’area motoria supplementare e il lobulo parietale inferiore.
In estrema sintesi, i risultati delle analisi delle prove comparate con le
immagini del cervello in fMRI hanno rivelato nei pazienti una ridotta modulazione
dell’attività neurale dipendente dal carico di memoria di funzionamento, e suggeriscono un meccanismo neurale comune per la disfunzione inibitoria e la riduzione del supporto di memoria all’attività cognitiva attuale.
Torniamo ora al lavoro qui recensito.
Alec Solway, Zhen Lin
e Ekansh Vinaik hanno impostato
il loro studio secondo una concezione che considera unico il processo alla base
di tutte le operazioni decisionali, così che la decisione di sposarsi, di studiare
all’estero, di cambiare lavoro o andare in pensione sono equiparate alla
decisione di aprire una porta, accendere una stufa, chiudere l’automobile o
bere una bibita. In quest’ottica, il ritornare su una scelta di vita già presa,
magari tentennando a lungo fra due possibilità, e verificare più volte se si è
spento il computer o se si è messo in ricarica lo smartphone sono considerati atti mentali equivalenti.
Secondo questo criterio, adottato
spesso di recente nell’analisi delle strumentalità cognitive, si presume un
elemento esecutivo comune alle verifiche dell’ossessivo compulsivo e a quelle che
ciascuno di noi compie in momenti di perdita di efficienza del controllo
cognitivo dovuta all’interferenza di uno stato ansioso o a indebolimento della
sua base neurofunzionale per svariate altre ragioni. È opportuno precisare che
in termini di semeiotica psichiatrica è improponibile l’assimilazione dei due
tipi di sintomi, regolarmente tenuti distinti nei pazienti: la verifica e il
controllo ripetuto di piccoli atti, in passato attribuita al meccanismo
psichico dell’annullamento, può essere una costante in pazienti che non
sembrano inclini a ritornare sulle scelte importanti della vita; viceversa, alcune
persone permanentemente tormentate dal dubbio su scelte compiute tanti
anni prima o mai compiute per incapacità a risolversi in un senso o nell’altro,
presentano solo sporadicamente condotte di verifica ripetuta di piccoli gesti.
Tuttavia è ragionevole supporre, come
si diceva, che possano essere accomunate nel segmento di processo mentale
corrispondente all’esecutività decisionale, secondo quanto assunto dai tre
autori dello studio che, focalizzando l’attenzione sulla mancanza di conoscenza
del modo in cui l’informazione viene trasferita da un episodio
decisionale all’altro in entrambi i tipi di revisione delle azioni, si sono
prefissi di individuare questo modo e analizzarlo comparando quanto avviene
nelle persone non affette da disturbi e nei pazienti diagnosticati di disturbo
ossessivo-compulsivo.
In estrema sintesi, due esperimenti realizzati
facendo eseguire a pazienti e volontari del gruppo di controllo un compito decisionale
(decision-making task) e adottando
il modellamento computazionale (computational
modeling) sono stati sufficienti a fornire
elementi di notevole chiarezza e significatività. Infatti, hanno rivelato che
sia le memorie implicite che le memorie esplicite delle
precedenti decisioni influiscono in modo determinante e caratteristico sulle
decisioni seguenti attraverso un condizionamento tendenziale del tasso di
integrazione di evidenza.
Un’altra parte importante dello
studio è consistita nell’esplorazione del processo decisionale elementare
nelle persone affette da disturbo ossessivo-compulsivo. I tre ricercatori hanno
ottenuto risultati che replicano quanto registrato in precedenti ricerche, e
hanno dimostrato la presenza di difetti nel processo decisionale di
base in funzione di sintomi del disturbo auto-riferiti dai pazienti partecipanti
alla sperimentazione; e hanno rilevato che gli effetti del trasferimento
di informazione specificamente attivato dalla memoria implicita era ridotto
nelle persone con il grado più elevato di manifestazioni cliniche e di gravità
dei sintomi del disturbo ossessivo-compulsivo, che presentavano anche altri deficit
in processi di base necessari per l’esecutività decisionale. Infine, i dati
emersi dallo studio hanno offerto interessanti nozioni computazionali sul
comportamento di verifica ripetuta.
Gli autori
della nota ringraziano la dottoressa Isabella Floriani per la
correzione della bozza e invitano alla
lettura delle recensioni di
argomento connesso che appaiono nella sezione “NOTE E NOTIZIE” del sito (utilizzare
il motore interno nella pagina “CERCA”).
Giovanna Rezzoni
& Giovanni Rossi
BM&L-23 gennaio 2021
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Society of Neuroscience, è registrata presso l’Agenzia delle Entrate di Firenze,
Ufficio Firenze 1, in data 16 gennaio 2003 con codice fiscale 94098840484, come
organizzazione scientifica e culturale non-profit.
[1] Cfr. Emil Kraepelin, Psychiatrie, vol. 4, p. 1823, Barth, Leipzig
1915.
[2] Cfr. Pierre Janet, Névroses et Idées Fixes. Alcan, Paris 1898. [V. ristampa
della Société Pierre Janet, 1990].
[3] È il meccanismo inconscio che
consente all’ossessivo di rimanere lucido e apparentemente distaccato in
circostanze di intensa partecipazione affettiva, come il funerale di una
persona cara, o in una condizione di elevato rischio personale. Si dice che l’ossessivo
“stacca l’affetto dalla rappresentazione”.
[4] Consiste nello sviluppo di un
atteggiamento opposto a sentimenti profondi che la coscienza del paziente non
potrebbe tollerare; così, l’estrema gentilezza e il rispetto formale dell’altro
sarebbero formazione reattiva di un’ostilità inconscia non esprimibile.
[5] Come nel caso del Piccolo Hans
che aveva spostato su un cavallo l’ostilità nei suoi confronti che lui
attribuiva a suo padre, tanto da temere di poter essere morso da quel cavallo,
lo spostamento consiste nel trasferimento inconscio da un soggetto all’altro
di intenzioni, sentimenti o proprietà importanti per l’affettività del
paziente.
[6] È il meccanismo inconscio che determina un’interpretazione razionale di una realtà secondo la convenienza affettiva del soggetto. Un tipo comune di razionalizzazione è la svalutazione: un atleta che non riesce a vincere e dichiara convinto che quella gara non valeva nulla; come la volpe della celebre favoletta di Fedro che, non riuscendo in alcun modo a raggiungere l’uva troppo alta per i suoi salti, dice che l’uva era acerba. Nel disturbo ossessivo-compulsivo la razionalizzazione sarebbe l’origine inconscia delle giustificazioni ragionevoli nei termini delle circostanze dei comportamenti dovuti in realtà ai sintomi.
[7] Un meccanismo oggi citato solo di
rado è l’annullamento, perché consiste in un’interpretazione in chiave
simbolica dei sintomi costituiti dal ripetere un’azione o ritornarvi più volte
con verifiche o modifiche. Un ossessivo – ma anche chi non lo è – può, ad
esempio, dopo aver chiuso a chiave una porta, girare la maniglia come se
volesse aprirla, per verificare se è effettivamente chiusa, compiendo
apparentemente l’azione inversa a quella del chiudere. Tutti gli atti che possono
rientrare in questa tipologia erano interpretati come azioni simboliche volte
ad annullare quelle compiute in precedenza. Tale interpretazione segue
la falsariga del sintomo/simbolo isterico, ed è venuta a cadere quando si è
compreso che l’origine dei sintomi del disturbo ossessivo-compulsivo non è in
una intenzionalità inconscia comunicata in chiave simbolica, ma si sviluppa
come adattamento psicologico ad alterazioni neurofunzionali di base.
[8] Molti di tali psicologi clinici seguono teorie psicologiche superate e ottengono talvolta
effetti positivi grazie alla fiducia del paziente nel porre in essere dei
semplici consigli di buon senso.
[9] Per un esame del pensiero
freudiano a partire dalla lezione 17 sulla nevrosi ossessiva e un bilancio
critico alla luce delle conoscenze neuroscientifiche attuali si rimanda a Note e Notizie 13-01-18 Correlati fMRI del
disturbo ossessivo-compulsivo. Da questo stesso articolo è tratto l’impianto
di sintesi delle nozioni emerse dagli studi recenti.
[10] Per una definizione più precisa
e completa si rinvia al seguente testo, dal quale è stata tratta per sintesi
quella riportata: Giuseppe Perrella, Osservazioni
su casi di “nevrosi e personalità ossessiva”, condotte negli anni 1981-1984 e
discusse al Seminario sull’Arte del Vivere 2004/2005. BM&L-Italia, Firenze 2005. Per una discussione sul mutamento di
prospettiva in psichiatria, si veda l’articolo: G. Perrella, La concezione del
Disturbo Ossessivo-Compulsivo e il superamento della tradizione interpretativa
di matrice psicodinamica basata sulla teoria della personalità. BM&L-Italia, Firenze 2004 (cfr. Note
e Notizie 23-03-13 La Microglia nel disturbo ossessivo-compulsivo).
[11] Note e Notizie 23-03-13 La
Microglia nel disturbo ossessivo-compulsivo.
[12] Questo vale per l’espressione
clinica caratteristica di tutti i principali disturbi psichiatrici.
[13] Il nostro presidente sostiene da
decenni questo principio generale nella patogenesi dei disturbi
psichici.
[14] Si veda Note e Notizie 03-11-07 Sinapsi cortico-striate nel disturbo
ossessivo-compulsivo.
[15] Note e Notizie 23-03-13 La microglia nel disturbo ossessivo-compulsivo.
[16] Naturalmente, il rilievo delle
sedi del danno e dell’entità delle deviazioni dalla norma fisiologica non
fornisce la certezza di aver individuato l’origine anatomica e funzionale delle
manifestazioni cliniche, in quanto allo stato attuale delle conoscenze non si
può escludere che gli stessi sintomi possano essere determinati da alterazioni
in punti diversi di una rete neuronica e per ragioni cellulari e molecolari
differenti; tuttavia, rimane un’indicazione preziosa per lo sviluppo di
ulteriori ipotesi di lavoro.
[17] Berthier
M. L., et al. Obsessive-compulsive
disorder associated with brain lesions: Clinical phenomenology, cognitive
function and anatomic correlates. Neurology 47, 353, 1996.
[18] Ricordiamo che costituisce la
parte esterna del nucleo lenticolare,
completato medialmente dal globus pallidus.
[19]
Si veda in Adams
and Victor’s Principles of Neurology (Allan H. Ropper,
Martin A. Samuels, Joshua P. Klein) 10th Edition, pp. 110-112, McGraw Hill Medical 2014. Il repertorio completo dei tic e
delle compulsioni è stato descritto da Tolosa e Bayes,
e riportato nelle rassegne di Jankovic e Leckman,
diventate due “classici” imprescindibili: Jankovic J., Tourette’s
syndrome. New
England Journal of Medicine 345: 1184,
2001; Leckman J. F., Tourette’s syndrome. Lancet 360: 1577, 2002.
[20] È interessante notare che la coprolalia, intesa quale emissione
incoercibile di parole oscene o volgari, è virtualmente assente nei pazienti
giapponesi, la cui cultura rigorosamente decorosa contempla pochissime
espressioni linguistiche che possano rientrare in questa categoria; espressioni
che, di fatto, non sono mai impiegate e sono a molti sconosciute.
[21]
Kurlan R., Tourette’s syndrome: Current concepts. Neurology 39: 1625,
1989.
[22] Note e Notizie 02-02-08 Fenotipo cerebrale ossessivo-compulsivo.
[23] La descrizione dell’endofenotipo
è riportata nella citata recensione dello studio originale.
[24] Note e Notizie 03-11-07 Sinapsi cortico-striate nel disturbo ossessivo-compulsivo.
[25] Note e Notizie 13-01-18 Correlati fMRI del disturbo ossessivo-compulsivo.
[26] Note e Notizie 03-11-07 Sinapsi cortico-striate nel disturbo ossessivo-compulsivo.
[27] Note e Notizie 13-10-07 Il Premio Nobel a Mario Roberto Capecchi.
[28] Note e Notizie 23-03-13 La microglia nel disturbo ossessivo-compulsivo.
[29] Le teorie della personalità
hanno avuto anche un notevole impatto culturale nella loro descrizione degli
stili di personalità, che sono diventati dei paradigmi di tipologie umane nella
letteratura, nel teatro e nel cinema. I meno giovani ricorderanno l’attore
David Niven nella magistrale interpretazione di un
personaggio dallo stile ossessivo, quale perfetto modello del gentiluomo della
buona società. In effetti, le descrizioni degli stili di personalità sono figure
astratte che, nel concreto, si realizzano come portato di una sintesi fra le
propensioni temperamentali del soggetto e le influenze ambientali costituite soprattutto
dall’educazione e dai modelli di persone reali con le quali identificarsi.
[30] Vari esempi di queste “presunte
eccezioni” sono apparsi fin dai primi anni Ottanta nelle osservazioni di
Giuseppe Perrella, condotte presso l’Istituto di Clinica Psichiatrica della
Facoltà di Medicina e Chirurgia dell’Università Federico II (Cfr. Giuseppe Perrella,
“Osservazioni su casi di nevrosi e personalità ossessiva”, condotte negli anni
1981-1984 e discusse al Seminario sull’Arte del Vivere 2004/2005).
[31] In passato, questa
caratteristica era ritenuta un tratto distintivo e costante, descritto con la
personalità.